Riflessioni sulla psicologia dei processi di sviluppo umano
Si apre con questo breve “articolo” la nostra rubrica “Pensieri e Idee“, un contenitore di riflessioni scientifiche e “pensiero scientifico ad alta voce” degli autori pubblicati su psyreivew. Cerchiamo così di stimolare la discussione scientifica e offrire spunti per futuri studi, collaborazioni e ricerche.
Redazione Psyreview
a cura di Marco Baranello
La sviluppo di ogni individuo, dal punto di vista psicofisiologico, è un continuo processo, quindi senza soluzioni di continuità, che va dal “concepimento” alla morte. Sappiamo, anche se probabilmente ci sono ancora margini di studio e ricerca, che la neurogenesi tende a completarsi quasi del tutto entro i 3 anni di vita del bambino. Probabilmente questo ci spinge a pensare che le modalità di organizzazione delle informazioni nei primi tre anni di vita potrebbero differire da quelle che avvengono dopo tale periodo. Per tentare una metafora è come se stessimo programmando un sistema operativo interno che poi fungerà da base per l’acquisizione di nuove informazioni. Ovviamente è soltanto un pensiero, una riflessione ad alta voce.
Se osservassimo un neonato è abbastanza intuitivo notare che l’esperienza sensoriale permette un rapporto diretto con l’ambiente. Quest’ultimo è chiamato a riconoscere lo stato di variazione del bambino e tentare di ripristinare un equilibrio psicofisiologico. Il bambino nelle primissime fasi di vita “non comunica volontariamente” il proprio stato di disagio. E’ l’ambiente che percepisce le manifestazione del bambino come un “segnale”. In questa fase di vita l’ambiente è chiamato a riconoscere il valore “comunicativo” di ciò che ancora non è una comunicazione voluta. E’ in questo modo che il bambino modulerà poi le attività fisiologiche autonome e le trasformerà, nel corso del neurosviluppo, in una vera e propria comunicazione.
Il riconoscimento dei bisogni fondamentali del bambino diviene lo strumento a disposizione dell’ambiente delle cure per permettere al neonato di riconoscere tali necessità e, successivamente, renderlo in grado di soddisfarle in modo funzionale e autonomo.
Credo quindi che le sensazioni che prova un adulto non differiscano poi molto da quelle provate da un bambino, in virtù dell’esistenza degli stessi processi di base che permettono tale percezione. Raggiunto un quasi completo neurosviluppo ciò che cambia potrebbe essere l’esperienza soggettiva alle spalle, la propria storia, il modo di elaborare l’informazione quindi la diversa regolazione psicofisiologica delle esperienze. Questo non deve portare a distinguere nettamente, da un punto di vista del funzionamento “psicofisiologico”, un adulto da un bambino. Lo sviluppo ormonale della fase puberale sostanzialmente creerà lo spartiacque tra il bambino e “l’adulto” in termini di funzioni, non in termini giuridici ovviamente.
Un neonato sperimenta “emozioni” (anche se il concetto andrebbe non scisso dai processi cognitivi) senza dargli un nome e, generalmente, all’interno di un determinato contesto sociale, imparerà a collegare specifici stati psicofisiologici a un concetto dando vita a proprie soggettive rappresentazioni. Tale processo non sarà sempre adeguato, funzionale o corretto. Comunque la riflessione è che i nostri stati affettivi da adulti, le variazioni autonome e spontanee prima della codifica concettuale, siano esattamente gli stessi di un bambino anche nelle sue primissime fasi di vita.
Per fare un esempio prenderò in considerazione quello che alcuni orientamenti classici in ambito psicologico definiscono come “vissuto di onnipotenza“. Quella sensazione di aver in qualche modo “creato” eventi, ambiente, situazioni, oggetti. Quello che Winnicott chiama “senso di onnipotenza”, secondo me, non deriva direttamente dal credere di “aver creato la madre” o il cibo, ma dall’aver influenzato gli eventi, aver condizionato l’ambiente, e si associa più ai concetti di “potere” e “capacità”. Il disagio “comunicato” porta a creare, quando tutto funziona, una situazione tesa alla “soddisfazione” del bisogno. Il bisogno soddisfatto con piacere, cioè una completa esperienza positiva di accudimento (contatto con la madre, soddisfazione del senso di fame, gioco, comunicazione, essere “ben” pensato, ecc.) porta il bambino a sperimentare, se l’esperienza positiva è costante, un senso di sicurezza e soddisfazione. Questa sensazione è ciò che definisco “senso di volizione” ovvero la percezione della persona, anche in fasi precoci dello sviluppo, di essere elemento attivo nella regolazione della propria esperienza. Ciò significherebbe anche che il bambino ben accudito e soddisfatto non tenderà a ricercare il piacere in quanto tale ma acquisirà la capacità di poter far fronte a un disagio, in altri termini saprà che uno stato di disagio può trovare soluzione.
Già da subito, quindi, si può pensare che una certa distinzione tra sé e l’altro, tra l’Io e il non-Io utilizzando concetti della psicologia classica, siano presenti sin dall’inizio. Il fatto è capire come vive soggettivamente il bambino questo stato. E’ probabile che, in fasi molto precoci dello sviluppo, il bambino sperimenti una sorta di sensazione di potere superiore, quello che appunto Winnicott, come già accennato, ha definito “senso di onnipotenza”. Forse il termine “onnipotenza” potrebbe essere sostituito con “magia” tuttavia credo che il concetto sia sufficientemente chiaro.
Rispetto a quanto detto finora, per comprendere la sensazione del bambino anche nelle primissime fasi di vita potremmo rintracciare la stessa esperienza nell’adulto. In un adulto (cioè nel bambino appena descritto arrivato all’età adulta), come si rintraccia l’esperienza di “potere” nel senso di aver influenzato, dal punto di vista percettivo in modo “magico”, quasi “onnipotente”, gli eventi?
Riporto un esempio comune. A moltissime persone è capitato di pensare a un qualcosa, da una persona che non sentiamo da molto a un vecchio film, o comunque a una situazione che non fosse in qualche misura collegata con la condizione vissuta al momento. Potrebbe accadere che quel pensiero, in qualche modo, possa diventare realtà in un lasso di tempo abbastanza breve da essere percepito dal soggetto come “coincidenza” ovvero che possa suggerire un collegamento tra la situazione pensata e quelle vissuta nella realtà. Incontriamo o ci chiama o sentiamo parlare di quella persona, scopriamo che il vecchio film era in programmazione in quei giorni in tv, la situazione pensata appare sotto i nostri occhi di li a poco. Cosa proviamo nell’immediato? In genere quello che si prova immediatamente, prima di ogni elaborazione, è un senso di piacere, una soddisfazione e un senso di “magia”, a volte stentiamo a crederci, viviamo la “coincidenza” con stupore. Proprio come se fossimo stati noi, con il nostro pensiero, con la nostra comunicazione, ad aver influenzato la realtà. Successivamente avverrà una sintesi tra la percezione iniziale e la nostra esperienza che ci farà dire “è stata una coincidenza”. Per capire bene, però, analizziamo la nostra percezione iniziale. Forse il bambino prova esattamente lo stesso, ma la sua minore esperienza in fasi precocissime della vita, la diversa modalità di elaborazione dell’informazione, potrebbe non farlo giungere immediatamente ad una razionalizzazione dell’accaduto.
Ci sono persone, e addirittura intere comunità, che ritengono, anche da adulti, che queste “coincidenze” siano in realtà il segno di una reale capacità di influenzare gli eventi, di attrarre la realtà con il proprio pensiero, spingendosi verso i confini della scienza. Insomma, è chiaro che anche l’adulto quando non riesce a spiegare scientificamente e con chiarezza alcune esperienze personali ricorra al “mistero”, all’ignoto, al “non ancora conosciuto”.
Molte forme religiose utilizzano il concetto di mistero e quasi tutte quello di fede. La preghiera stessa spesso è usata come una richiesta verso un’entità più o meno astratta o comunque non fisica per ottenere qualcosa o per sé o per gli altri. Non è un segreto che esistano persone che credono nei miracoli, nella magia, che vivano la realtà integrandovi gli aspetti spirituali fino a coloro che credono che alcuni comportamenti, pensiero o oggetti possano influenzare gli eventi in modo più o meno diretto.
Il limite tra la “normalità” e la patologia risiede probabilmente nell’armonizzazione del processo all’interno di un certo contesto sociale o di una certa comunità di riferimento. Purtroppo sappiamo che tali esperienze non sempre rientrano un quadro di sanità. Dai disturbi di personalità, al disturbo ossessivo-compulsivo fino ai disturbi di area psicotica, i contenuti “magici” possono far parte di un’esperienza del tutto patologica e questo, comunque, ci collega a tutti quei fattori eziologici di tipo ambientale che potrebbero portare verso uno sviluppo patologico soprattutto quando l’ambiente delle cure, secondo me, non è in grado di sintonizzarsi in modo adeguato con i bisogni espressi dal bambino.
Concludiamo queste “riflessioni ad alta voce” suggerendo di osservare in modo “naturale”, non viziato da fattori secondari, da processi di elaborazione, il vissuto emotivo immediato rispetto a pensieri o situazioni che viviamo. Quella variazione immediata probabilmente è la sensazione che, fisiologicamente, potrebbe vivere anche un bambino. Sia chiaro che la sensazione comunque non giustifica necessariamente l’azione ad essa associata. Un bambino o un adulto che provasse frustrazione per una situazione può agire in modo funzionale o disfunzionale. Credo sia importante distinguere il concetto di “comprensione” con quello di “giustificazione”.
Riconoscere gli stati affettivi del bambino, comunque, potrebbe essere un modo anche per mostrare maggiore empatia nei confronti dei più piccoli e probabilmente per riuscire a sintonizzarsi con i loro bisogni e quindi riuscire a offrire “oggetti” (psicologici o della realtà condivisa) adeguati al loro soddisfacimento sano e funzionale.
a cura di
Marco Baranello
come citare questa fonte bibliografica:
Baranello, M. (1999)
Riflessioni sulla psicologia dei processi di sviluppo umano.
Rubrica “Pensieri e Idee”. www.psyreview.org/?p=637. Psyreview Edizioni.
Roma, 08 giugno 1999.