About “American Beauty”. Rubrica Cinema e Psicologia
Questo breve articolo di Marco Baranello apre la rubrica “Cinema e Psicologia” pubblicata da Psyreview. Saranno presentati approfondimenti di tipo psicologico sulla settima arte. Dalla psicologia nel cinema, ovvero in quale modo il cinema affronta tematiche di natura psicologica come i disturbi mentali o la figura stessa dello psicologo, ad approfondimenti e analisi di tipo psicologico di film e personaggi, fino al possibile utilizzo strumentale del cinema in ambito clinico ed educativo. (Redazione Psyreview, 1 marzo 2000).
American Beauty è un film statunitense del 1999 diretto dal regista britannico Sam Mendes uscito in Italia a gennaio di quest’anno (2000). La discussione sul lungometraggio tra colleghi è stata ampia, ognuno con una propria visione. Secondo me per comprendere il reale messaggio dell’opera è necessario individuare una specifica chiave di lettura. Dico immediatamente che considero questo film un vero e proprio capolavoro. Tra le opinioni che ho sentito in merito al lungometraggio, la più frequente è che si tratti di uno spaccato di una certa società media americana nella quale l’ipocrisia la fa da padrona. Secondo me questo tipo di interpretazione, piuttosto superficiale, neutra e facilmente condivisibile non offre comunque all’opera la sua giusta interpretazione, fortemente psicologica.
Per comprendere meglio il contenuto del film American Beauty occorre prendere in considerazione i personaggi e le loro caratteristiche. Non è il personaggio principale il “bandolo della matassa” bensì, a mio avviso, coloro che hanno il ruolo più marginale. Il regista ha ben nascosto tale chiave offrendo l’opportunità allo spettatore di cogliere l’indizio.
Se iniziassimo a focalizzare l’attenzione su coloro che, da come vengono presentati, non hanno problemi evidenti, vivono felicemente la propria vita, forse riusciremmo a comprende più ampiamente l’opera. Sto parlando della coppia omosessuale la quale ricopre, almeno in apparenza, il ruolo più marginale all’interno del film ma che, a mio avviso, rappresenta il vero “bandolo della matassa”, la vera chiave di lettura dell’intera rappresentazione. La vita di questa coppia è raffigurata come esente da problemi gravi e, nel confronto con gli altri personaggi, i due ragazzi che costituiscono la coppia sembrano gli unici, in quel contesto, ad aver “accettato” oppure a “non aver censurato” la propria identità.
Il filo rosso, secondo me, è proprio il problema dell’identità e il processo negazione della stessa. E’ un processo che ha sicuramente una componente sociale e allo stesso tempo una forte componente psicologica soggettiva. Il problema che genera “patologia” a livello psicologico e psico-sociale, in ogni società così come in ogni epoca, sembrerebbe sempre lo stesso e credo di poterlo identificare come “il tentativo volontario di un soggetto di tenere sotto controllo un qualcosa che non dipende direttamente dalla propria volontà”, può essere una sensazione, un pensiero o un diktat sociale.
Con le parole di Winnicott credo di poter affermare che il lungometraggio American Beauty raffiguri bene delle “personalità falso-sé“. La negazione della propria “reale” identità, il tentativo di auto-censura basato probabilmente sull’idea introiettata di un sistema escludente, fa da sfondo all’intera opera e, in qualche occasione, diviene evidente, lampante.
Il messaggio morale del film sembrerebbe più nitido e semplice: per vivere felici occorre accettarsi e pensarsi, vivere e mostrarsi così come si è! Una frase che suona retorica e che allo stesso tempo inquadra un dramma reale che molte persone in ogni parte del mondo vivono. La forte negazione di aspetti della propria identità, quindi, porta ad odiare e soprattutto a temere coloro che ce la ricordano, come se potesse emergere la falsità chi siamo cuciti addosso. Quello che emergerebbe sarebbe una sorta di incoerenza con il ruolo che abbiamo deciso di mostrare al mondo.
Cosa accadrebbe realmente se ognuno di noi fosse consapevole di ciò che semplicemente è, ricordando che la nostra personalità, le nostre scelte e le nostre preferenze comunque possono cambiare nel corso del tempo? Probabilmente nulla di grave, nella realtà. Invece abbiamo il terrore dell’incoerenza e soprattutto chiamiamo a volte “incoerenza” la semplice libertà di cambiare idea, opinione, azioni. Così si intuisce l’odio verso gli omosessuali dell’ex-marine, il quale ha negato per tutta la sua esistenza la propria di omosessualità.
Nel film c’è una certo parallelismo con il nazismo e più ampiamente con le ideologie nazi-fasciste. Il regista sembrerebbe collegare una possibile negazione di Hitler di un proprio stato non accettato dal punto di vista soggettivo (che può essere un giudizio di inferiorità intellettiva, un rifiuto sociale, un’eventuale origine ebraica, ecc.) con il processo messo in atto dal militare nel film. La citazione è evidente, nella sequenza in cui si scoprono le tendenze filo-naziste del marine.
Altro problema affrontato, non scisso dal precedente, è legato alle dinamiche relazionali. Riconoscere sé stessi non sembra quindi sufficiente, sembrerebbe che ognuno di noi abbia necessità di trovare un contenitore (una famiglia, un partner, un gruppo o una comunità) in grado di accoglierci come una sorta di funzione specchio e permettere a noi stessi di essere accettati e amati in quanto “esistenti” e non in funzione di un ruolo.
Il finale del film è, secondo me, davvero intelligente. Per rispetto verso coloro che non hanno ancora visto il lungometraggio non ne parlerò in questa sede. American Beauty è un film che non può non essere visto e che non può mancare nella nostra memoria storica!
a cura di
Marco Baranello
come citare questa fonte bibliografica
Baranello, M. (2000)
About “American Beauty”. Rubrica Cinema e Psicologia.
www.psyreview.org/?p=735. Psyreview Edizioni.
Roma, 01 marzo 2000.