Disturbi di Personalità Evitante e Dipendente. Diagnosi Clinica, Caratteristiche e Terapia Psicologica


Premessa

Per scopi descrittivi di tipo clinico, in merito ai disturbi evitante e dipendente di personalità, ci riferiremo al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali Quarta Edizione (DSM-IV, APA 1994). Alla data di pubblicazione del presente articolo (2000), l’edizione quattro rappresenta l’ultima del manuale. Questo articolo di divulgazione scientifica in ambito psicologico è volutamente sintetico per renderlo adatto a un pubblico ampio. Rappresenta un primo approccio conoscitivo ai disturbi di personalità evitante e dipendente.

disturbo dipendente e disturbo evitante di personalità - Marco Baranello
Diagnosi Clinica di Disturbo Evitante di Personalità

Il disturbo evitante, anche noto come disturbo da evitamento, è classificato dal DSM-IV (APA, 1994) sull’asse II (sistema di codifica multi-assiale) nel gruppo C dei disturbi di personalità. Fanno parte dello stesso gruppo i disturbi dipendente e ossessivo-compulsivo di personalità. Tale cluster è comunemente definito come il “gruppo degli ansiosi“.

Vediamo subito quali sono i criteri adottati dal DSM-IV per una diagnosi di disturbo evitante di personalità premettendo che, prima di poterlo diagnosticare, è sempre necessario che siano confermati anche tutti i criteri di un disturbo di personalità in senso generale.

Il DSM-IV definisce la personalità evitante come caratterizzata da

«un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che compaiono entro la prima età adulta, ed è presente in una varietà di contesti come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi

  1. evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale, poiché teme di essere criticato, disapprovato o rifiutato
  2. è riluttante nell’entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo di piacere
  3. è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato
  4. si preoccupa di essere criticato e rifiutato in situazioni sociali
  5. è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza
  6. si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore agli altri
  7. è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, perché questo può rivelarsi imbarazzante.
Caratteristiche del Paziente con Disturbo Evitante

La personalità evitante è contraddistinta da elementi ansiosi presenti in modo costante nei tratti “caratteriali”, ovvero nello stile organizzativo del soggetto. L’individuo con tratti evitanti sembrerebbe estremamente sensibile alla possibilità di un rifiuto sociale e interpersonale e cerca di evitare tale eventualità tenendosi, per quanto possibile, a distanza dalle relazioni (escluse quelle con i familiari più stretti). Al tempo stesso, emerge comunque un forte desiderio di aggregazione nonché una necessità delle sensazioni derivate dalle relazioni di tipo affettivo. Quest’ultimo punto lo distingue dal paziente affetto da disturbo schizoide (Asse II, cluster A del DSM-IV), il quale tende invece a non provare piacere nelle relazioni interpersonali.

Il soggetto con personalità evitante vive con la costante aspettativa di un possibile rifiuto interpersonale. Appare, almeno in superficie, un’ansia eccessiva relativa all’essere umiliati, al giudizio in generale e al fallimento. Emerge anche un quadro d’imbarazzo nel rapportarsi agli altri, sia dal punto di vista affettivo che lavorativo. Tale preoccupazione è pervasiva, vale a dire che si presenta nella maggior parte dei contesti di vita dalla persona.

Sembra inoltre essere presente una certa tendenza a reprimere i sentimenti. Tale atteggiamento è finalizzato all’evitamento di un possibile giudizio e di una reazione negativa degli altri. Le emozioni prevalenti, in tali soggetti, sono la paura, la vergogna e la “paura mista a sensi di colpa”. La vergogna sembrerebbe derivare dalla riluttanza nel far emergere alcuni aspetti di sé che potrebbero rendere il soggetto vulnerabile. Ovviamente è una percezione soggettiva la quale si manifesta con comportamenti tesi a prevenire tale possibilità.

Emerge un quadro di tentativi di controllo personale, soprattutto dal punto di vista emotivo. Un esempio è il costante tentativo di controllare la rabbia. Secondo la nostra ottica, tali tentativi risultano non soltanto fallimentari ma psicopatogenetici. Tenderebbero quindi a mantenere il disturbo nel tempo.

Comprensione Funzionale del Disturbo Evitante

Da un classico punto di vista psicodinamico è ipotizzabile che la vergogna e l’inibizione manifestate dal soggetto con disturbo evitante di personalità siano correlate a una valutazione di sé stessi come inadeguati. Questo avviene in diversi contesti, soprattutto relazionali, perché non corrispondente a un ideale dell’Io. Sembrerebbe esserci una pressione esagerata del Super-Io che tende a colpevolizzare qualsiasi azione spontanea. Questo orientamento psicoanalitico appare piuttosto “filosofico” dal punto di vista di una psicologia scientifica, in quanto richiede necessariamente l’adesione a un modello concettuale specifico. La validità del modello appare quasi esclusivamente interna. Tuttavia è importante riconoscere il contributo delle teorie psicodinamiche nel tentare una “narrazione” degli ipotetici fattori eziopatogenetici e delle “spiegazioni” che sottostanno la manifestazione psicopatologica.

Senza dover chiamare in causa concetti quali “Io” e “Super-Io” la nostra idea, dal punto di vista teorico, è che ci sia alla base un processo ridondante di tipo psicofisiologico basato sul tentativo volontario di controllo dell’ansia. Tale tentativo di controllo avrebbe prodotto un modello abituale di pensiero e comportamento tendente all’evitamento delle sensazioni spiacevoli associate a situazioni soggettivamente percepite come potenzialmente stressogene, probabilmente rafforzato anche dall’ambiente sociale che potrebbe non essere stato in grado di sintonizzarsi con le necessità del bambino in precoci fasi dello sviluppo.

Le nostre ipotesi sono in fase di studio e saranno approfondite in successive pubblicazioni. In questo contesto cercheremo di offrire una panoramica sintetica del nostro pensiero in merito a un nuovo modo di approcciare alle ipotesi eziopatogenetiche del disturbo al fine stimolare un confronto e un dibattito sul piano scientifico.

Trattamento del Disturbo Evitante di Personalità

Come riportato da G.O. Gabbard (1994), dal punto di vista dell’intervento supportivo di tipo psicologico, alcuni approcci, in particolare quelli cognitivi, ritengono che il trattamento debba essere teso a un deciso incoraggiamento a esporsi alle situazioni temute. Sulla sponda espressiva dell’approccio terapeutico occorrerebbe invece esplorare le “cause” simboliche che sottendono la vergogna e la colpa portando le esperienze evolutive nel qui-e-ora della relazione terapeutica, per poterle rielaborare cognitivamente ed emotivamente. Tutto questo attraverso anche l’analisi delle fantasie del “paziente” invitandolo ad una lettura delle stesse. Questo modo di suddividere gli approcci sul versante supportivo sembra tuttavia associato a una strategia di accomodamento che possa favorire una sorta di divisione dei ruoli tra cognitivisti e approcci psicodinamici.

Crediamo che sia necessario un approccio che non sia necessariamente integrato ma che tenga in considerazione fattori psicofisiologici organizzativi, che avvicini la psicologia sul versante scientifico anziché su quello filosofico. Secondo noi, ad esempio, ogni “causa” non è “fisiologicamente” legata al passato o ad aspetti simbolici ma a un processo di attivazione e organizzazione psicofisiologica che avviene sempre e comunque nel qui-e-ora della manifestazione. Diremo che, scientificamente parlando, causa ed effetto nel qui-e-ora sostanzialmente coincidono. Il trattamento quindi dovrebbe basarsi esclusivamente sull’attività organizzativa del presente perché è proprio ora che agisce la causa.

Non siamo completamente in accordo anche per quanto riguarda le tecniche di esposizione. Crediamo infatti che l’eventuale esposizione debba essere un effetto naturale e non una procedura terapeutica. Questo perché ipotizziamo che il reale evitamento non sia delle “situazioni” ma delle sensazioni.

In sintesi, secondo noi, si deve agire sulla “causa” che mantiene il disturbo, una causa si presenta esattamente in ogni qui-e-ora della manifestazione e non su presunte quanto arbitrarie “cause simboliche” associate al passato. Nella nostra visione è proprio la definizione di “causa” che cambia. Riteniamo che sia la modalità di organizzazione la vera causa del mantenimento del disturbo. Da queste ipotesi stiamo cercando di avviare uno studio specifico sia teorico che, nel prossimo futuro, applicativo.

Disturbo Dipendente di Personalità. Diagnosi con il DSM-IV

Il disturbo di personalità dipendente è classificato, insieme ai disturbi evitante e ossessivo-compulsivo di personalità, sull’asse II nel gruppo C dei disturbi di personalità del DSM-IV (APA, 1994). Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta edizione edizione, definisce la la personalità dipendente come caratterizzata da:

«una situazione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che compare nella prima età adulta ed e presente in una varietà di contesti come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:»

  1. ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza richiedere una eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni
  2. ha bisogno he altri si assumano le responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita
  3. ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione. Nota: non includere timori realistici di punizioni
  4. ha difficoltà ad iniziare progetti o a fare cose autonomamente (per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per mancanza di motivazione o energia)
  5. può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli
  6. si sente a disagio o indifeso quando è solo per timori esagerati di essere incapace di provvedere a sé stesso
  7. quando termina una relazione stretta, ricerca urgentemente un’altra relazione come fonte di accudimento e di supporto
  8. si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato a provvedere a sé stesso
Caratteristiche del Disturbo Dipendente di Personalità

Una delle caratteristiche prevalenti sembrerebbe essere una costante e pervasiva sfiducia in sé stessi. L’individuo con personalità dipendete permette passivamente che gli altri dirigano quasi completamente la sua vita e non avanza richieste per timore di compromettere queste relazioni considerate probabilmente protettive. Come per il disturbo borderline c’è una paura di poter essere abbandonati ma, a differenza del BPD come tale preoccupazione è legata più a un esigenza di controllo, nel disturbo dipendente si manifesta come timore di essere lasciati soli a provvedere a sé stessi. Appare così un quadro di estrema dipendenza generalizzata che si manifesta inoltre, con una difficoltà a prendere delle decisioni importanti senza richiedere rassicurazioni, generalmente eccessive, da parte di altri significativi.

Altra caratteristica importante è proprio la necessità di continue ed eccessive rassicurazioni che non rende il soggetto dipendente in grado di prendersi cura di se stesso senza che sia qualcun altro a farlo o, comunque, a dirigerlo. Sembra esserci una certa predisposizione a manifestazioni di tipo “depressivo” e, in particolare, una tendenza ad ammalarsi in generale.

Fondamentalmente l’individuo con personalità dipendente si considera inadeguato e indifeso e, pertanto, si potrebbe percepire come incapace ad affrontare il mondo e la vita con le proprie forze e capacità. Gli individui dipendenti ricercano in genere una o pochissime relazioni strette ed esclusive, soprattutto con qualcuno che sembra in grado di affrontare la vita, che li protegga e che si prenda cura di loro. Cedono, in altri termini, le proprie responsabilità e la propria one-ship in cambio di un “prendersi cura di loro”.

Una caratteristica che li rende particolarmente vulnerabili e soggetti anche a comportamenti aggressivi da parte di un partner narcisista od ossessivo-compulsivo è che, pur di compiacere l’altro significativo ed evitare il conflitto, fugge quasi ogni sorta di controversia ed è disposto a tutto per non perdere supporto, anche a una piena sottomissione. Nel caso in cui la relazione dipendente finisse, potrebbe esserci una sorta di sentimento di disgregazione con tendenza alla depressione e, l’unica alternativa, sembrerebbe essere trovare quasi immediatamente un rimpiazzo.

Il disturbo dipendente di personalità si trova spesso in comorbidità, seguendo le linee guida tracciate dal DSM-IV, con altri disturbi mentali dell’asse I come quelli dell’umore, i disturbi d’ansia e, meno frequentemente, con quelli somatoformi. Sull’asse II sembra essere in continuum con gli altri disturbi del gruppo C (evitante e ossessivo-compulsivo). Inoltre un dato molto interessante, che andrebbe analizzato con attenzione, è che oltre il 50% delle personalità dipendenti riceve anche una diagnosi di disturbo borderline di personalità (BPD), proprio in relazione alla tematica dell’abbandono. Tuttavia tale sovrapposizione potrebbe essere legata al modello teorico di riferimento del ricercatore e da fattori prettamente interpretativi.

Secondo noi è importante riferirsi alla modalità di comportamento e la percezione di sofferenza soggettiva associata a determinate situazioni per evidenziare le nette differenze tra i due disturbi. Nel disturbo borderline la preoccupazione dell’abbandono sembrerebbe legata al controllo interpersonale e dal punto di vista del comportamento i pazienti affetti da disturbo borderline tendono a manifestare condotte impulsive, rabbia apertamente espressa e tentativi di manipolazione. Nel disturbo dipendente la preoccupazione è associata, come già accennato, alla preoccupazione di non essere in grado di provvedere a sé stessi in modo autonomo e le manifestazioni comportamentali sono caratterizzate da evitamento dello scontro, sottomissione e adesione alle richieste dell’altro.

Trattamento Psicologico del Disturbo Dipendente

Sembra che nelle famiglie dei soggetti con diagnosi di disturbo dipendente di personalità venga agito un elevato controllo e ci sia una ridotta espressività. Per questo motivo nei trattamenti classici di matrice psicodinamica l’approccio terapeutico spesso si basa sulla creazione di una iniziale dipendenza con il terapeuta. Per questo è necessario, secondo le impostazioni psicoanalitiche o più generalmente psicodinamiche, anche un grosso lavoro di analisi del controtransfert oltre che l’analisi dei desideri di dipendenza alla luce sia della relazione attuale che delle sue connessioni simboliche con le esperienze passate.

Crediamo comunque possibile che interventi psicologici di media durata possano avere maggiore efficacia quando agiscono sul sistema che mantiene i comportamenti, le azioni, i pensieri, le percezioni disfunzionali nel qui-e-ora. Secondo noi occorrerebbe agire sull’associazione tra lo stato di disagio psicofisiologico sperimentato di volta in volta e il comportamento disfunzionale inserendo delle modificazioni nel processo ridondante. Questo perché l’organismo tende a processare l’informazione sempre nel qui-e-ora e, ogni cambiamento, altro non potrà avvenire che in questo “dove e quando”.

Cambiando le modalità di percezione e quindi di organizzazione si dovrebbe creare una rottura del “loop” che mantiene il disturbo quindi aprire la strada a un cambiamento. Anche se questa sintesi potrebbe apparire simile nel processo alle già note modalità d’intervento, secondo noi non è affatto necessario il riferimento a questioni di ordine simbolico, analisi dei fattori scatenanti o tecniche di esposizione diretta. Crediamo che sia invece necessario un approccio più sul versante psicoeducativo. Di questo, siamo certi, parleremo in future pubblicazioni quando avremo a disposizione maggiori dati della nuova ricerca sia teorica che applicativa.

a cura di
Marco Baranello

Baranello, M. (2000)
Disturbi di personalità evitante e dipendente.
www.psyreview.org/?p=757. SRM Psicologia Rivista, Psyreview.
Roma, 03 marzo 2000.

Riferimenti Bibliografici

American Psychiatric Association (1994) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVa ed. (DSM-IV). Masson, Milano 1996.

Gabbard, G.O. (1994) Psichiatria Psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM-IV. Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.

Redazione Psyreview
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